Fu al
buio vespertino
che la
fanciulla raggiunse il ponte più alto,
in preda
a un forte languorino.
Oltraggiosamente
ripudiata dalla madre,
invidiosa
delle altrui figlie leggiadre,
la
ragazza puzzava a tal punto
da indurle
disappunto.
Dalla donna
imbarazzata e a tutto disposta
in un
sacco di iuta venne quindi nascosta:
distogliendo
la gente dal contenuto,
indirizzando
l’attenzione al contenitore,
con un
deplorevole stratagemma
il miasma
così giustificava il genitore.
D’inganni
e occultamento
si era
macchiata la fuorviante mamma
disinteressata
al materno coinvolgimento,
facendo della
meschina giovane una segregata
di stopposi
e nodosi capelli di canapa accessoriata.
Povera Canapella,
debilitata
dall’inadeguatezza filiale
cercò
d’affogare i dispiaceri
in
balsami dal garantito esito fenomenale.
Esaurita
dal fallimento,
intravide
nell’azione di un salto
l’unica risoluzione
per un’esistenza
destinata a sfilarsi
tra un
ponte e l’acqua corrente
sotto un
cosmo in contemplazione.
L’atto
venne inscenato nella sacralità del buio
salendo
sul parapetto del prescelto,
librandosi
senza esitazione
per un
diritto vitale dall’umana ignoranza divelto.
Per il
primo secondo la gravità fece il proprio dovere,
in
seguito la natura e i suoi fili
presenziarono
alla tragedia nel vuoto cadere.
La
ragazza affrontò la definitiva decisione
non presagendo
della particolare chioma
alcuna ammortizzazione;
mai
avrebbe potuto prevedere
che si sarebbe
impigliata in un balaustro,
il quale
avrebbe trattenuto il grottesco fagotto
come lì
non accadeva da almeno un lustro.
Incapace
di nuotare e ingannata dalla notte mite,
che le
aveva infuso coraggio e forza,
inutile
dirlo, quanto rimase al ponte
della
malcapitata dal cuore d’oro
protetto
da una ruvida scorza.
Intanto,
per una eccezionale congiunzione astrale,
tutta
l’acqua era stata assorbita dal suolo solidale,
impedendo
alla sfortunata Canapella
di
annegare ancora verginella.
Accertandosi
dell’interezza della corazza maleodorante
apprezzò la
durezza di quella fibra poco accomodante,
poi alzò
lo sguardo, vide il vento accarezzare gli odiati capelli
e, osservandoli
da un’altra prospettiva, considerò quanto fossero belli:
preziosi,
distanti, illuminati,
la luna
li faceva d’argento e mai lo erano stati.
Il
satellite bifronte si accorse della sopravvissuta,
che si
ricomponeva controvoglia,
e lanciò un
guizzo di luce sulla testa ormai spoglia,
lei si
accarezzò la nuca e sorrise al nulla,
accostandovisi
con il sano ottimismo che merita una fanciulla.
Placato dunque
lo scompiglio
la
scampata morte porta consiglio
e la
giovane di canapa, rinnegato il sacco di iuta,
comprese
di essere finalmente libera e cresciuta.
Nuovamente
psicoattiva,
fiduciosa
che i capelli sarebbero rispuntati
più folti
e robusti di prima,
fu
stupefacente, quanto aumentò l’autostima,
tanto da
voler celebrare la rinascita
ribattezzandosi
Mary Juana,
stando
attenta, da lì in avanti,
a non
avvicinarsi troppo alla dogana.
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