C’era una
volta un nerd, per le coetanee invisibile,
che
sperimentò su di sé una pozione imbevibile.
Grazie
alla chimica fece un salto quantico
verso un
più roseo futuro romantico:
che
genialoide,
riuscì a mettere
su massa in pochi secondi
senza
ricorrere allo steroide!
Di giorno
si nascondeva dietro occhiali
dalle
lenti paragonabili a fondi di bottiglia,
di notte
lasciava andare la briglia.
Eh, sì,
perché il giovane, in notturna, assumeva le sembianze
di un
vissuto tombeur de femmes dall’afflato
equino,
in grado di far nitrire le puledre col solo
movimento del bacino.
Il nitrito IIIHHIII era diventato per lui un verso
onomatopeico
dal sensazionale scopo terapeutico,
fintanto che non conobbe una tipetta tosta
capace di farlo trottare ben oltre il consentito e senza
sosta.
L’adrenalinico, esplosivo nitrato d’ammonio,
che condiva di pepe quell’unto amore sintetico in
pinzimonio,
era disinnescato regolarmente
dal senso di colpa per il bluff da demonio
che lo accompagnò fino a Las Vegas
nell’improvvisato, scriteriato matrimonio.
Nulla, in confronto allo smacco subito in luna di
miele
nella Sin City simile a una pulsante Babele,
dove l’azzardo del Nevada
era in linea con la sua furfantesca condotta da masnada.
Trovato il coraggio di esporsi nella rivelazione,
non dovette nemmeno ricorrere alla
drammatizzazione,
scoprendo già a conoscenza del segreto da mutante
la mogliettina,
dunque altrettanto poco genuina.
E non era finita lì, perché si mise a nudo
confessando di averlo preceduto in chimica e seduzione,
facendo uso, da almeno un anno prima di lui, della
medesima pozione.
Il
brevetto venne di comune accordo depositato
e gli
sposini, formatisi tra provette,
becher, beute e alambicchi,
legittimarono il caos sul pianeta,
vivendo una solforosa alchimia da viziati ricchi.
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