Gemma è
una singolare bambina
che ha
vissuto i primi anni al buio di una cantina
ed è
felice, nel vedere il sole la prima volta,
ma fa
solamente una giravolta.
Gemma uscita
fuori dal nulla
si
specchia in continuazione
fiera della
scura carnagione
e ispirata
da Joséphine Baker,
ballerina
e agente del controspionaggio,
dissente
dal collettivo immaginario,
che la
fama di spia per eccellenza
a Mata
Hari conferisce in appannaggio.
La
serenità non pascola mai
in una
prateria del dolore così vasta,
Gemma
dall’arrabbiatura facile
piuttosto
bruca l’erba di un furore iconoclasta.
Simili a lame
d’acciaio Inox
sono le
unghie che sa tirar fuori,
già in
giovane età crede poco
negli
sconfinati amori.
La finta tenerezza
da piccola orfanella
si
alterna alla modalità Wolverine dagli artigli affilati,
producendo
umori opposti, repentini e alquanto azzardati
sintomi cuciti assieme dal filo borderline in
un Patchwork bipolare,
le cui
scarse certezze la mano della pazzia sa arruffare.
E allora
l’oscillazione emozionale la scarmiglia
gonfiandole
i capelli a dismisura,
insopportabile
mortificazione,
per una
pupa che della principessa Leila
ha fatto
sua la stellare acconciatura.
Volendo, Gemma,
Inox e Patchwork suggeriscono un acronimo
riecheggiante
colui che è, in una storia di Rodari, un GIP omonimo.
Nel libro,
che degli adottivi genitori è per lei il regalo più grande,
un
bambino catapultato magicamente all’interno del televisore
diventa protagonista
di diverse scorribande.
Gemma sogna
di uguagliarlo assecondando l’innata ribellione,
ma in un
tablet dalla più moderna e approcciabile interazione,
bypassando
il touch screen che lancia in orbita dozzinalmente tutti,
intelligenti
e stupidi, belli e brutti, nonché anonimi farabutti.
In grado
di aggirare il parental control e caratterizzata da instabilità emotiva,
è però l’abbraccio,
la password d’accesso alla dimensione
che
restituisce una GIP meno sola e cattiva.
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