Il
villaggio dei robot
emerge
dalle acque del dittatore
che per
un fazzoletto di libertà concessa
millanta
d’essere un benefattore.
Sta alla metropoli
del Campidoglio
quanto al
mare uno scoglio
ed è
sovrappopolato di festanti infestanti,
nella
fattispecie androidi evoluti
combinati
con bevitori mutanti.
Individui
meccanici sotto un cielo a tinte forti
puntano
al nero,
sono
anime morte dai tossici cocktail
che
girovagano in un patinato cimitero.
La
cupezza istiga alla monotonia,
spezzabile
solo con nuvole rosa
che in
pochi vedono sull’onda di una sana allegria.
Ci sono
stelle che si possono ammirare
senza
alzare lo sguardo,
sorgono
da fochi fatui e si elevano di poco
fino a un
personale traguardo.
A breve
gittata è il futuro dei robot arrugginiti,
rottamati
e corredati di bulloni e viti,
dispensati,
perché obsoleti, dal cyberbullismo
imperante
nel globalizzato ghetto dell’automatismo.
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