Un gatto
nero fa provincia pure in una grande città,
se di
attraversare la strada da sinistra si preclude la possibilità,
per paura
di farsi una brutta nomea,
in una
vita che è già di per sé un’odissea.
Nel
venerdì più temuto dagli esseri affetti da eptacaidecafobia
il certosino fashion victim, che si percepiva
nero,
diede
ampio sfogo a una silente isteria,
quella di
un gatto in via di definizione
che non
tollerava alcun tipo d’ammonizione.
Causato
l’incidente a catena, tra conducenti di mezzi superstiziosi,
alla
vista del tamponamento da lui prodotto gli occhi arancio si fecero gioiosi
e
rientrando dal padrone Sauro, che amava le micie,
si perse,
per l’ennesima volta, a strusciarsi contro le sue maschie camicie.
Casa era un
viavai di raggirate fidanzate,
tutte le
notti, dall’autunno all’estate,
e assistendo
impassibile ad acrobazie casalinghe
divenne voyeur
proprio malgrado,
ripudiando
intimamente quella tana
che del
padrone era l’eldorado;
degno del
più impenitente dei viveur,
l’arredamento
scuro e minimalista,
la
location non s’intonava al felino
avulso dalle
sessioni del master esibizionista.
Se ne
stava dunque buono buono nell’alcova a guardare,
il pelo si
arricciava di continuo, c’era sempre qualcosa da imparare.
L’ultima
delle fanciulle di passaggio sfoggiava un foulard di seta griffato
al quale
il certosino si dimostrò d’emblée interessato;
alla
prima occasione lo sottrasse alla proprietaria, approfittando del casotto,
per
indossarlo davanti allo specchio a figura intera del salotto.
Come gli
donava, quell’elegante tessuto proibitivo
che faceva
risaltare la glabra identità di
genere da animale volitivo.
I polpastrelli
erano di una morbidezza pura e senza calli,
il
portamento, da elegante mannequin, deciso, per non commettere falli.
Si
convinse che un’occasione del genere non capitasse tutti i giorni
e
s’ingegnò per reclutare uno spettatore d’eccezione nei dintorni.
Chi, se
non Bondage, lo sterilizzato dei vicini,
sovrappeso,
vizioso e poco amante dei grattini?
Si pavoneggiava
di aver partecipato
alla
realizzazione di uno spot di cibo per gatti,
rimarcando
aspirazioni artistiche che lo elevavano
dalla
condizione di mancato cacciatore di ratti.
Il momento
della rivincita era arrivato
e, al solito
fischio d’adunata,
dal
settimo piano all’ottavo del condominio di fronte,
il
prescelto rimase spiazzato,
perso
nella soap pomeridiana, interrotto sul più bello,
mentre
faceva il pane sull’ultimo numero di Vogue
sognandosi
snello.
Dal
davanzale vide l’amico sfilare dalla sala alla cucina,
passando
per la lettiera del bagno, flessuoso e irriverente,
neanche
fosse una regina.
Sollevò
il muso stizzito e batté ritirata,
ricordandosi
dell’appuntamento imperdibile della réclame
che sarebbe
stata trasmessa al termine della puntata.
Il provocatore
affrontava il défilé di transizione
con trasporto
e convinzione,
ma, nella
foga della sfilata, non si accorse
di aver
proseguito oltre il balcone,
cadendo
nel vuoto dell’autocelebrazione.
Scivolando
sulla passerella delle sette vite, pur senza tacco,
le fusa
di piacere erano degenerate
dal
rantolo nel prolungato miagolio da smacco,
culminante
nell’eco tipica da cartone animato dalla vasta gamma di suoni,
in un universo
ACME dal classico finale in fondo ai burroni.
Conclusi
i giochi Sauro si accorse della pelosa assenza,
nella
mancata risposta allo scuotimento della scatola dei croccantini,
non
imputabile a un’improvvisa inappetenza
e, dalla
folla formatasi sotto casa stranito,
scese in
strada in soccorso del tramortito.
Fasciato
e riverito, il certosino beneficiò
dell’affetto
di un padrone virile dalle tinte pastello,
non più
disposto a coltivare unicamente il proprio orticello.
Rude con le
feline umane, aveva dimostrato gran
tatto
con l’amico
a quattro zampe
dal look tutto
garza e benda elastica da mummia,
ovvero lo
Slingatto.
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